
Negli ultimi venti anni la nuova sensibilità legata ai temi del sociale e dell’ambiente, unitamente alla omogeneità qualitativa, che ha livellato la produzione, hanno reso la CSR uno dei principali indicatori delle performance aziendali, determinando il superamento del tradizionale marketing mix.
Erano gli anni “80 quando iniziai ad avvicinarmi al mondo della vendita e del marketing, quelli dell’edonismo reganiano, della “Milano da bere”, della nascita delle TV commerciali e dello yuppismo, per intenderci. La parola d’ordine era successo, individualismo e ricchezza, ad ogni costo.

Autore WikiFB3 da wikipedia Germania
La prima cosa che veniva insegnata, nel mondo della vendita e del marketing, era il “paradigma delle 4P”. Termini come prodotto, prezzo, punto vendita e promozione, traduzione degli inglesi product, price, place e promotion, esprimevano la convinzione che qualsiasi prodotto, con un prezzo adeguato, ben distribuito e pubblicizzato avrebbe funzionato.
Alla fine del decennio il mondo cambiò. La dissoluzione del blocco comunista aprì alla globalizzazione e la fine delle ideologie lasciò spazio ai fondamentalismi religiosi, da cui l’escalation del terrorismo che culminò nell’undici settembre 2001, alimentando il clima di incertezza, che sfociò nella crisi finanziaria del 2007.
In questo mondo globalizzato, privo di riferimenti e valori assoluti, anche il miraggio della ricchezza a portata di mano degli anni ‘80 era tramontato, insieme al vecchio marketing mix. Stavano cambiando sia le esigenze sia, conseguentemente, il modo di comunicare.
Infatti, la nascita tra la fine degli anni ’70 e i primi anni ’80 di Microsoft, IBM ed Apple aveva piantato il seme del web 2.0. Attraverso l’interattività della rete la comunicazione da “one to many”, diventava “many to many”.
I contenuti, distribuiti attraverso i social media, da quel momento sono il risultato dell’interazione di più individui, non più delle strategie di un singolo soggetto, rendendo impossibile decidere esclusivamente a tavolino i contenuti della comunicazione.[1]

Autore: http://mkhmarketing.wordpress.com foto scattata il 31/7/2011
Nel nuovo Asset le community on line determinano in larga misura il valore e il successo di un prodotto o di un servizio. Alzi la mano chi prima di prenotare un albergo, scegliere un ristorante, pianificare un viaggio, decidere l’outfit o acquistare una nuova autovettura, non ha consultato recensioni on line, community e blog tematici!
Tradotto, significa che il mercato propone un “cosa” e un “come” differenti, da cogliere attraverso un altrettanto innovativo concetto di marketing e da soddisfare grazie a una nuova concezione della vendita.
Questa forma di comunicazione orizzontale, incide sul valore percepito del prodotto e del brand, influendo sulla determinazione del prezzo. La qualità non è più la discriminante.
Infatti, grazie ai continui progressi della tecnologia, ormai i prodotti si equivalgono. La motivazione per acquistare un iPhone piuttosto che un Samsung quindi non è più la migliore qualità, piuttosto la “reputazione” del prodotto, ciò che rappresenta per il consumatore possederlo.[2]
Non si tratta più tuttavia di una valore costruibile solo tramite la comunicazione, è il capitale reputazionale sia del prodotto sia del brand stesso a determinarlo.
Anche la distribuzione delle merci e dei servizi deve tener conto delle nuove abitudini dei consumatori. Gli acquisti sono effettuati al di fuori del punto vendita, da device mobile, mentre in negozio si passa a ritirare il prodotto, o magari per visionarlo prima di acquistarlo on line, risparmiando. Attualmente 2,5 milioni di italiani sfogliano volantini digitali solo su mobile, mentre l’88% dei Mobile Surfer è disposto a ricevere coupon sul proprio Smartphone.[3]

Diagramma illustrativo di una matrice swat, in inglese. Autore Xhienne fonte Image:SWOT pt.svg data 30/9/2007
Queste evidenze si sono trasformate in una sfida per il marketing, rendendo il paradigma delle 4P anacronistico rispetto ai nuovi parametri. Il prodotto da commercializzare oggi è il capitale reputazionale dell’azienda, percepito in termini di affidabilità e credibilità del brand, in relazione alla sensibilità verso le tematiche sociali e ambientali emerse.
Surriscaldamento globale, inquinamento ed energie rinnovabili, più equo allocamento delle risorse e della ricchezza, biotecnologie e gestione dei rifiuti, sono alcuni temi ormai all’ordine del giorno da oltre un ventennio. La responsabilità per il destino della terra e dell’umanità,[4] il perseguimento di una migliore qualità della vita, non riguardano più solo gli individui, coinvolgendo anche le aziende, tramite il tema della CSR. La responsabilità sociale è diventato un “KPI”, uno dei principali indicatori delle performance aziendali.[5]
L’argomento non è certo nuovo, il primo a parlarne nel 1953 fu Bowen, a proposito degli «obblighi per i businessman di perseguire quelle politiche, di prendere quelle decisioni e di seguire quelle line di azioni che siano desiderabili in rapporto agli obiettivi della nostra società».[6] Si trattava di un’etica delle scelte indirizzata ai valori condivisi, ancora svincolata dalla responsabilità verso l’ambiente e gli individui che ne fanno parte.[7]
Tuttavia, bisognerà attendere l’arrivo degli anni ’60 per sentir parlare di CSR vera e propria,[8] ed arrivare alla fine del decennio successivo, perché Carroll elabori il suo concetto piramidale delle priorità aziendali, ulteriormente definito nel 1991.[9]

Phd. Archie Carroll da qui
Seguendo la sua gerarchia, alla base della piramide troviamo le responsabilità economiche, reputate imprescindibili per l’attività dell’impresa, all’opposto, penultime prima del vertice le responsabilità etiche.[10] È la prima volta che entrano a far parte delle responsabilità aziendali oltre quelle economiche e giuridiche, reputate da sempre imprescindibili, anche quelle etiche e discrezionali.

Piramide della Social Corporate Responsability da qui
Da questo momento, perché un’azienda possa essere considerata socialmente responsabile dovrà adottare strategie e obiettivi equi ed eticamente corretti. Scelte capaci di migliorare la qualità della vita della società in cui l’impresa opera, oltrepassando i semplici obblighi di legge e il perseguimento del solo profitto. [11]
La CSR è il frutto di questa consapevolezza, nata dalle crisi economiche e dalla globalizzazione che hanno dimostrato come l’impresa, ottenuto il profitto, non ridistribuisce risorse sufficienti a soddisfare le esigenze di tutti. In realtà solo una piccola percentuale di individui infatti possiede la quasi totalità della ricchezza mondiale. L’economia globalizzata ha evidenziato anche le aporie di una delocalizzazione che accresce il divario fra chi gode dei beni e servizi prodotti e chi continua a essere sfruttato nel produrli, oltre ai danni ambientali che ne conseguono.

Video Intervista a Emmanuele Macaluso, esperto di marketing e ideatore del Manifiesto del Marketing Etico. Cliccare sulla foto o qui per il video
Parallelamente a queste contraddizioni, da cui è nata la sensibilità verso la CSR, l’omogeneità qualitativa dei prodotti, risultato del progresso tecnologico, ha posto al centro delle motivazioni di acquisto quella reputazione che, nella società della comunicazione orizzontale, la pubblicità non è più in grado di costruire.
La nuova sensibilità rende la CSR il fattore in grado di accrescere il capitale reputazionale dell’impresa, rispetto alla quale il paradigma delle 4P non è più sufficiente. Occorre il marketing sociale, inteso in senso etico come “lo strumento per realizzare una superiore qualità della vita”,[12] non più come “scienza che studia e dirige il flusso dei beni e servizi dal produttore al consumatore”.[13]
Note
[1] Roberto Lo Jacono, Martina Widmann, Il social media marketing per le PMI. Guida all’uso dei social media nella Piccola e Media Impresa, Osservatorio Digitale PMI, Milano 2015, p. 10.
[2] Cfr. Francesco Pira, Andrea Altinier, Comunicazione pubblica e d’impresa, libreriauniversitaria.it, Padova 2014, pp. 190-196; Claudio Zara, La valutazione della marca. Il contributo del brand al valore di impresa, ETAS Libri, Milano 1997.
[3] Report dell’Osservatorio Mobile Marketing e Service della School of Management del Politecnico di Milano dicembre 2015.
[4] Carmelo Vigna (a cura di), Linee di un’etica dell’ambiente, in Id., Introduzione all’etica, Vita e Pensiero, Milano 2001, pp. 181-210.
[5] Cfr. Roberto Antonucci, Esercitazioni di comunicazione, libreriauniversitaria.it Edizioni, Padova 2015, pp. 121-123.
[6] Howard Bowen, Social Responsibilities of the Businessman, Harper & Brothers, New York 1953, p. 6. In realtà se questa è la prima definizione di CSR tradizionalmente riconosciuta i primi studi invece sono antecedenti agli anni ’30 del XX secolo, come testimonia l’articolo del 1927 pubblicato sulla Harvard Business Review dal Decano Wallace B. Donham. Sul tema si veda: Remo Bassetti, L’identità culturale delle aziende, FrancoAngeli, Milano 2016, pp. 84-85.
[7] Il dibattito sulla CSR è riconducibile alla perdita di credibilità che colpì i businessman all’indomani del crollo di Wall Street. Nell’imaginario collettivo di una società sprofondata nella grande depressione prima, e coinvolta nel new deal in seguito, gli uomini di affari e indirettamente le imprese che questi rappresentavano, non godevano più di alcuna stima. Da questa constatazione è nata la riflessione moraleggiante di Bowl e di chi prima di lui, in piena crisi, aveva già percepito questo disagio. Cfr. Carlo Borgomeo, Mariangela Lancellota, Elisabetta Pessano, Coopowerment, fare impresa cooperando, in Samuele Sangalli (a cura di), Solidarietà e democrazia: Mediazione e dialogo tra ideali e realtà concrete, GBP, Roma 2014, p.241.
[8] In merito alla evoluzione del concetto di CSR si veda: Cecilia Chirieleison, L’ evoluzione del concetto di corporate social responsibility, in Gianfranco Rusconi, Michele Dorigatti, (a cura di), La responsabilità sociale di impresa, Franco Angeli, Milano, 2004.
[9] Nel 1979 Carroll identifica quattro tipi differenti di responsabilità per l’impresa: economiche, giuridiche, etiche ed infine discrezionali. Cfr. Archie B. Carroll, A Three-Dimensional Conceptual Model of Corporate Performance, in Academy of Management Review, vol. 4, n° 4, 1979, 497-505.
[10] Nel 1991 Carroll identifica anche una gerarchia, in base al quale ordinare questi criteri di responsabilità, sulla base della loro importanza, dando vita alla cosiddetta “piramide delle responsabilità sociali di un’impresa”. Alla base è collocata la responsabilità economica, in funzione del prevalere della funzione economica rispetto alle altre, mentre a seguire sono posizionate le responsabilità di carattere giuridico. Il vertice del solido è costituito invece dalla responsabilità discrezionale, riferita appunto alle sole attività discrezionali da mettere in atto a favore della comunità. Dal posizionamento delle tre responsabilità non economiche è possibile pertanto dedurre la rilevanza attribuita all’indirizzo etico dall’impresa. Cfr. Id., The pyramid of corporate social responsibility, Toward the moral management of organizational stakeholders, «Business Horizons», 1991, n°34, pp. 39-48.
[11] Il punto di arrivo di questo processo di formazione della CSR è il passaggio dal concetto di “responsabilità” a quello di “sensibilità” sociale dell’azienda, intendendo la capacità di mettere in atto comportamenti conformi alle aspettative della società. I primi a teorizzare la sensibilità sociale dell’impresa furono Ackerman e Bauer nel 1976. Cfr. Robert Wallace Ackerman, Raymond Augustine Bauer, Corporate social responsiveness: the modern dilemma, Reston Pub. Co., Reston 1976. Da questa nuova impostazione hanno prese corpo le nuove teorie che animano il dibattito contemporaneo. Si tratta della teoria degli stakeholder elaborata da Freeman negli anni ’80 in base alla quale tutti i “portatori di interessi” (i cosiddetti stakeholder appunto, intesi non solo come gli azionisti ma come tutti coloro che sono coinvolti nell’attività dell’impresa, cioè dipendenti, clienti e fornitori), divengono soggetti attivi capaci cioè di esercitare un’influenza rispetto alle scelte e all’attività stessa dell’azienda). Cfr. Concetta Carnevale, Stakeholder, Csr ed economie di mercato. La complementarietà delle sfere economico-istituzionali, FrancoAngeli, Milano 2014, pp. 22-46.
[12] Sergio Sciarelli, Etica e responsabilità sociale nell’impresa, Giuffrè Editore, Milano 2007, p. 164.
[13] Ralph. S. Alexander, American Marketing Association, 1960, in Mario Lepore, Ma cos’è il marketing? E come usarlo?, Demetra, Verona 1999, p.10.
Bibliografia
- Ackerman Robert Wallace, Raymond Augustine Bauer, Corporate social responsiveness: the modern dilemma, Reston Pub. Co., Reston 1976.
- Alexander S. Ralph., American Marketing Association, 1960, in Mario Lepore, Ma cos’è il marketing? E come usarlo?, Demetra, Verona 1999.
- Antonucci Roberto, Esercitazioni di comunicazione, it Edizioni, Padova 2015.
- Bassetti Remo, L’identità culturale delle aziende, FrancoAngeli, Milano 2016.
- Borgomeo Carlo, Mariangela Lancellota, Elisabetta Pessano, Coopowerment, fare impresa cooperando, in Samuele Sangalli (a cura di), Solidarietà e democrazia: Mediazione e dialogo tra ideali e realtà concrete, GBP, Roma 2014, 229-280.
- Bowen Howard, Social Responsibilities of the Businessman, Harper & Brothers, New York 1953.
- Carnevale Concetta, Stakeholder, Csr ed economie di mercato. La complementarietà delle sfere economico-istituzionali, FrancoAngeli, Milano 2014.
- Carroll B. Archie, A Three-Dimensional Conceptual Model of Corporate Performance, in Academy of Management Review, 4, n° 4, 1979, 497-505.
- Id., The pyramid of corporate social responsibility, Toward the moral management of organizational stakeholders, «Business Horizons», 1991, n. 34, pp. 39-48.
- Chirieleison Cecilia, L’ evoluzione del concetto di corporate social responsibility, in Gianfranco Rusconi, Michele Dorigatti, (a cura di), La responsabilità sociale di impresa, Franco Angeli, Milano, 2004.
- Lo Jacono Roberto, Martina Widmann, Il social media marketing per le PMI. Guida all’uso dei social media nella Piccola e Media Impresa, Osservatorio Digitale PMI, Milano 2015.
- Osservatorio Mobile Marketing e Service, School of Management del Politecnico di Milano
- Pira Francesco, Andrea Altinier, Comunicazione pubblica e d’impresa, it, Padova 2014.
- Sciarelli Sergio, Etica e responsabilità sociale nell’impresa, Giuffrè Editore, Milano 2007.
- Vigna Carmelo (a cura di), Linee di un’etica dell’ambiente, in Id., Introduzione all’etica, Vita e Pensiero, Milano 2001.
- Zara Claudio, La valutazione della marca. Il contributo del brand al valore di impresa,ETAS Libri, Milano 1997.