“Che c’entra l’etica con la vendita”? Da venditrice me lo sono chiesto, come molti altri, sentendo parlare di vendita etica. Per dirla francamente, spesso ho avuto l’impressione di avere a che fare con discorsi tanto pieni di “paroloni”, quanto inconcludenti.
É questa la ragione che mi ha spinto a riflettere e voler condividere i miei pensieri su questo blog, senza alcuna presunzione, nell’ intento di offrire un’opportunità di approfondimento e confronto, che ci aiuti a comprendere il senso e il valore di un’autentica etica della vendita.
In un primo momento sembrerebbe ovvio ritenere che, soddisfacendo l’esigenza o risolvendo un problema del cliente, la vendita rappresenti qualcosa di etico (cioè buono), per definizione. Del resto il lavoro del venditore è per l’appunto vendere, non fornire una qualche forma di supporto morale, giusto?
Sbagliato e a dirlo, (per fortuna), non sono io (altrimenti conterebbe ben poco)!
In realtà il primo a elaborare la teoria da cui nasce l’idea che la vendita sia intrinsecamente etica, è stato un sociologo tedesco di cui i più “studiosi” sicuramente ricorderanno il nome, Max Weber.

Max Weber
Fu lui a teorizzare che, proprio nella ricerca del massimo profitto, risiede un meccanismo moralmente positivo. Perché un mercato in concorrenza, secondo questa logica, fa emergere e premia solo i migliori. Quindi è etico, per definizione.
Se le cose stessero davvero così il “conto tornerebbe”, nel senso che parlare di vendita etica sarebbe realmente inutile. Segui il ragionamento: il venditore sforzandosi di vendere il più possibile, soddisfa più esigenze possibili, del maggior numero di clienti possibile. Allo stesso tempo battendo la concorrenza, contribuisce a eliminare dal mercato i prodotti più scadenti. Cosa potrebbe esserci di più giusto e utile, in una parola, di più etico? Il venditore massimizza il suo guadagno, il cliente risolve i suoi problemi e il mercato elimina automaticamente prodotti e aziende scadenti. “E tutti vissero felici e contenti”.
Peccato che in pratica le cose non vanno proprio così, come ha dimostrato la crisi del 2007-2009.

Il crollo del colosso finanziario Lehman Brothers nel 2007 segnò l’inizio della crisi dei mercati finanziari innescata da quella immobiliare dei mutui sub-prime
La crisi ha evidenziato come questa concezione, forse, poteva funzionare in una situazione di mercato ideale. Quella cioè che gli economisti chiamano di “concorrenza perfetta”, in cui nessuno può influenzare il prezzo del prodotto, né i produttori tanto meno i consumatori. In questa idilliaca condizione il mercato si autoregolamenta, senza bisogno di alcun aiuto esterno. Già, ma se il mercato si regola da solo, come mai con la crisi sono dovuti intervenire stati ed istituzioni statali?
Perciò ha ricominciato a farsi strada l’idea che, valore e profitto non necessariamente coincidono. O meglio, esiste una concezione di valore non quantificabile, almeno non in termini economici o finanziari.
Il crollo dei mercati, in definitiva, ha dimostrato il limite della ricerca del profitto come unico, principale scopo dell’attività economica, rendendo necessario individuare un nuovo obiettivo, sostenibile.
Ogni azienda (e anche il venditore nel suo piccolo è un’azienda), mentre svolge la sua attività agisce sia per soddisfare i propri bisogni, che quelli del cliente. Non solo, relazionandosi con il mercato opera anche nella società. In altri termini le sue scelte hanno effetti anche nel contesto sociale. Da qui nasce il tema della Responsabilità Sociale di Impresa (la famosa RSI o in inglese CSR). Detto in due parole si tratta, nello svolgimento dell’attività, di tenere in considerazione non solo i parametri economici della gestione, ma anche dell’ambiente e del contesto sociale nel quale si agisce.
Tanto per fare un esempio riferito al lavoro di vendita, immaginiamo che tu abbia una famiglia e, lavorando per mantenerla, ti trovi a collaborare con un’azienda che inquina l’ambiente. In quel caso col tuo lavoro per un verso dai la possibilità ai tuoi figli di vivere, studiare e avere un futuro migliore, ma allo stesso tempo contribuisci a distruggere il mondo in cui dovranno vivere. Cioè contemporaneamente ti dai da fare per farli vivere bene e vendi prodotti che gli rovinano il futuro.
Per evitare contraddizioni simili (in realtà anche molto più complesse e impattanti), è necessario agire con responsabilità sociale. Smettere di preoccuparsi solo di massimizzare il profitto, come si è sempre fatto, trascurando le conseguenze delle nostre azioni sul mondo e le persone che ci circondano. In sintesi occorre adottare un atteggiamento etico.

contesti in cui è definito il concetto di sostenibilità. Una vendita etica deve tener conto della sostenibilità in relazione alla responsabilità sociale di impresa.
Una ragione più che sufficiente per farlo è che la sola ricerca del profitto, del danaro per generare danaro, non basta se vogliamo che il sistema, la società e l’esistenza degli individui che la compongono, producano qualcosa in grado di generare benessere autentico e duraturo. Proprio la recente crisi che tuttora stiamo vivendo ne è la dimostrazione. Occorre dunque cambiare sia l’idea di profitto che la concezione di vendita intesa come strumento per perseguirlo.
Se hai un minimo di esperienza nella vendita senz’altro ti sarai sentita/o dire che il primo prodotto che vendi sei tu stesso. Il cliente “compra” prima te poi, stabilito un minimo rapporto, prenderà in considerazione ciò che gli proponi. È la tua credibilità il valore su cui instaurare una comunicazione aperta col potenziale cliente, che ti consentirà di vendergli qualcosa.
Il problema a questo punto è il come. In che modo generare fiducia per produrre valore? Di certo non si tratta di una tecnica di vendita da utilizzare, piuttosto di un modo di essere che permea ogni ambito dell’esistenza, non solo quello professionale.
“Non cercare di essere un uomo di successo, cerca piuttosto di essere un uomo di valore”, è la famosa frase di Einstein che ho scelto come motto del mio blog perché racchiude questa sfida. I due termini di questa “equazione etica” sono SUCCESSO e VALORE ma, per dirla in termini matematici, non si tratta di una identità. I due concetti in senso etico non coincidono affatto, avere successo non significa necessariamente che sei un venditore, una persona o un’azienda di valore.
È facile accorgersi che non sempre chi possiede risorse economiche, possiede anche valori etici. Anzi spesso non è attento al bene comune e alle esigenze dell’altro. Del resto se l’obiettivo è avere più profitto, vale a dire maggior guadagno possibile, per consumare il più possibile, prima possibile beni e risorse, è evidente che spazio per l’altro non può esserci.
Per comprendere meglio i limiti di questo modello, legato alla massimizzazione del profitto, voglio fare con te un piccolo esperimento pratico. Senza chiamare in causa personaggi come Gandhi, Gesù o lo stesso Einstein, il cui spessore etico li rende un esempio indipendentemente dalla loro ricchezza, prova a chiederti quali persone hanno fatto la differenza nella tua vita e se era la loro ricchezza o altro a renderle così speciali.
Riflettendoci ho capito che nella mia vita chi mi ha saputo trasferire qualcosa, sostenere quando ero in difficoltà, addirittura aiutata a realizzare i miei progetti, ha lasciato una traccia, non le persone più facoltose.
Tradotto riuscire a fare positivamente la differenza attraverso le scelte che compiamo, equivale a utilizzare l’etica nei rapporti e nel lavoro. Come venditori richiede saper vedere nell’altro non una fonte di profitto ma una persona con cui relazionarsi, individuare i suoi reali bisogni che possiamo soddisfare.

Il modello di Friedemann Schulz von Thun: il quadrato della comunicazione.
Questa è la chiave per creare fiducia, dunque valore duraturo nella vendita. Come impresa significa considerare il mercato non solo in termini di domanda ed offerta, piuttosto come ambito in cui vivono e desiderano realizzarsi le persone che usano i nostri prodotti.
Volendo parafrasare la citazione di Einstein, fare riferimento all’etica consente di trasformare il “venditore di successo”, orientato solo al profitto, in “venditore di valore”, capace di stabilire una relazione di fiducia duratura.
Trascurare questa prospettiva equivale a perdere il focus su un aspetto centrale della vendita: la qualità, intesa come grado di soddisfazione del cliente nel tempo. È questo l’elemento capace sia di incrementare le vendite che di fidelizzare il cliente. Lo sanno bene le aziende e i venditori che hanno accettato la sfida della vendita etica.