
Articolo pubblicato sul n. 7/2015 di “Reputation Today”. La rivista è direttamente scaricabile a questo link
Viviamo e lavoriamo, in quella che Zygmunt Bauman ha definito una “società liquida”, in cui tutto sembra essere relativo, inclusi i valori. In un simile contesto è lecito chiedersi se ha senso parlare di etica e se per aziende, manager e professionisti, esiste ed è attuabile una “vendita etica”. In caso contrario sarebbe necessario accettare il paradigma tradizionale, secondo cui la vendita lo ė per definizione, in quanto soddisfacendo i bisogni del cliente produce benessere. Cerchiamo perciò in primo luogo di comprendere le caratteristiche della società contemporanea, per verificare se nel suo ambito esiste uno spazio per l’etica.

Zygmunt Bauman al Teatro dal Verme di Milano – Evento “Meet the Media Guru” 9 Ottobre 2013- foto by Massimo Demelas.
In fisica la liquidità è lo stato in cui i fluidi, le cui molecole prive di coesione, non sono in grado di mantenere una forma. Bauman identifica così l’attuale condizione della nostra civiltà. Per il sociologo «Il carattere liquido della vita e quello della società si alimentano e si rafforzano a vicenda. La vita liquida, come la società liquido-moderna non è in grado di conservare la propria forma o di tenersi in rotta a lungo».[1]
La “modernità liquida”[2] si delinea a partire dalla caduta del Muro di Berlino. Il conseguente crollo delle ideologie che alimentavano i tradizionali punti di riferimento etici, politici ed economici ne innesca la scomparsa, generando la relativizzazione dei valori. In mancanza di un’etica il vuoto viene colmato attraverso l’esaltazione della libertà individuale e del piacere, garantito dal consumo immediato. La società liquida è dominata da una sindrome «fatta tutta di velocità, eccesso e scarto»,[3]

Centro Commerciale Vasco De Gama – Lisbona. Portogallo. Autore: Husond -Self Made – 2006.
Parallelamente la continua innovazione tecnologica produce un costante mutamento, per cui tutto diventa già superato, nell’attimo stesso in cui viene scoperto, o ce ne appropriamo. L’uomo post-moderno diventa così simile a un esploratore privo di bussola, in un territorio sconosciuto, a metà strada lungo un viaggio di cui ignora la destinazione e da cui non può fare ritorno. Le certezze e i valori del passato sono scomparsi, insieme alle ideologie che li sostenevano.
Allo stesso tempo assistiamo all’inaspettato paradosso di una innegabile, crescente attenzione all’etica e hai temi connessi. Responsabilità sociale di impresa, marketing relazionale, sviluppo sostenibile, energie rinnovabili e ambientalismo, rappresentano alcuni esempi ormai familiari di questa sensibilità. Occorre quindi dirimere la questione se la felicità dell’individuo post-moderno è affidata esclusivamente al consumo o anche all’etica, per decidere se questa può avere diritto di asilo nella società liquida. In termini economici significa decidere che tipo di rapporto si debba instaurare fra individuo e consumo, fra società e mercato, in sintesi fra cliente e azienda.
Per articolare correttamente questa dialettica fra etica e post-modernità e capirne il valore per l’azienda, occorre ampliare l’orizzonte della riflessione, perché In realtà il discorso parte da più lontano. Fin dagli anni “70 in America è cresciuto un dibattito relativo all’etica applicata. In altri termini in merito a valori, regole e scopi morali riguardanti campi specifici della vita umana. Lo sviluppo tecnologico, modificando profondamente le condizioni esistenziali, oltre a generare un continuo cambiamento sociale ha sollevato problemi morali del tutto inediti fino a quel momento. Etica dell’ambiente e delle professioni, bioetica ed etica degli affari, progressivamente sono diventati temi di attualità.
A indirizzare la discussione, in quel contesto di modernità, erano ancora i valori tradizionali, sostenuti dalle diverse ideologie che, fondandosi sul progresso, rivendicavano la capacità di attribuire un significato unitario al mondo e alla realtà.[4] Un quadro destinato però irrimediabilmente a mutare con la post-modernità e la scomparsa dei valori tradizionali.

“The Descent of the Modernists”, DI E. J. Pace, l’illustrazione è apparsa per la prima volta nel libro ” Sette questioni oggetto della controversia” di William Jennings Bryan,”, pubblicato a New York nel 1924, dall’editore Fleming H. Revell. Il disegno si basa sulla lettera che il creazionista Bryan scrisse all’editore del” the Sunday School Times magazine” nel gennaio 1924 per confutare la emergente teoría evoluzionista darwiniana, sostenuta dal biologo John Scopes.
Samuel Huntington propone una interessante chiave di lettura di questo nuovo assetto sociale globalizzato.[5] Nella società liquida non si è più comunisti o capitalisti, il confronto piuttosto si articola fra gruppi appartenenti a diverse civiltà, identificate in base alle proprie credenze. In termini identitari, perduta la fiducia nelle ideologie, si è prima di tutto cristiani o musulmani, ortodossi o buddisti, perché in mancanza di una ideologia è il credo a connotare un popolo e gli individui che ne fanno parte.
Si tratta solo di una, fra le molteplici prospettive attraverso cui possiamo guardare la realtà contemporanea. Tuttavia la tesi di Huntington, a mio avviso, ha il pregio di far luce sulle ragioni della crescente attenzione verso i temi etici. L’etica presuppone una “spiritualità”, un’attenzione verso il bene, sia del singolo sia della collettività, propria delle maggiori religioni.
Ognuna indica un modo per essere felici, perseguire il bene e autorealizzarsi. In altre parole ogni religione propone un’etica che se spesso differisce nelle forme, sostanzialmente pare coincidere nella sostanza. Caduti i tradizionali valori sostenuti dalle scomparse ideologie, è apparso naturale colmare il vuoto con i principi etici insiti nelle diverse forme di religiosità che li hanno sostituiti, oltre che attraverso il consumismo.
A promuovere questi valori attraverso una “spiritualità fai da te”, che svincola il principio dalla sua matrice religiosa, più ancora delle confessioni religiose sono i singoli individui.[6] Una specie di “spiritualità laica”, trasversale a chiese, partiti e gruppi di appartenenza, priva della credenza in un essere trascendente, che alle preghiere sostituisce il comportamento, adattandosi perfettamente alla vita liquida. In una simile prospettiva per certi versi appare sorprendente il nesso esistente fra etica e impresa.
Socialmente l’azienda qui si caratterizza come un gruppo all’interno del quale l’individuo può realizzare parte del suo essere, cioè perseguire un fine etico “individuale”, soddisfacendo quei bisogni che già Maslow aveva identificato con la sua celebre piramide.[7] Accanto a questa definizione, in un senso più ampio l’impresa risponde anche ai bisogni del mercato e dei soggetti che lo compongono. Così facendo tende al bene comune, perseguendo cioè uno scopo riconducibile a un’etica collettiva.
In questa luce appare con chiarezza il valore di concetti come etica e reputazione sia a livello sociale che in relazione alla vendita, ossia l’attività principale tramite cui l’azienda si rapporta con i propri clienti che costituiscono il contesto sociale. Solo valorizzando l’insieme dei comportamenti etici dei vari soggetti che la formano, è possibile tradurli in scelte e strategie etiche proiettate verso l’esterno, capaci di creare valore sia per il cliente sia per l’impresa. Si crea così una relazione di fiducia che fidelizza i clienti e accresce il capitale reputazionale dell’azienda.
Tuttavia il modello economico tradizionale ha ignorato a lungo questi aspetti etici e reputazionali dell’impresa e del mercato, fino a quando la crisi del 2007-2009 non li ha prepotentemente portati alla ribalta. Sono emersi allora gli squilibri di un sistema economico il cui baricentro si era pericolosamente spostato dalla produzione industriale alla speculazione pura, al produrre danaro per il danaro, senza il minimo riferimento etico.
La crisi ha sfatato Il tradizionale mito di un mercato in grado di autoregolamentarsi, svincolato da qualsiasi legge sociale ed etica, rivalutando un ruolo diverso dell’impresa. Il suo obiettivo non consiste più nel massimizzare quel profitto che, generando benessere, rappresenterebbe il suo valore etico.

Prima edizione de “La ricchezza delle Nazioni” di Adam Smith edita a Londra nel 1776 – (autore immagine Gerhard Streminger- 2006). L’opera segnò l’inizio della economia classica. Fu Smith ad elaborare la teoria della “mano invisibile” secondo cui il sistema economico si regola da solo senza necessità di interventi esterni.
Piuttosto l’azienda ora ha la responsabilità sociale di produrre valore per sé stessa, per i soggetti che la compongono e per il mercato in cui opera. Le risorse di cui dispone per raggiungere questo obiettivo sono i servizi e i prodotti che offre. Si tratta di un processo possibile solo partendo da una sana, trasparente e fattiva relazione col cliente, tramite cui avviene la creazione di valore, grazie alla commercializzazione dell’offerta e la valorizzazione del capitale reputazionale dell’azienda. Un percorso che possiamo a ragione definire vendita etica.
BIBLIOGRAFIA
[1] Zygmunt Bauman, Vita Liquida, tr. it., Laterza, Roma-Bari, 2005, p. VII.
[2] Cfr. Zygmunt Bauman, Modernità Liquida, tr. it., Laterza, Roma-Bari.
[3] Id, Consumo, dunque sono, tr it., Laterza, Roma-Bari 2008, p. 108.
[4] Cfr. Jean Francois Lyotard, La condizione postmoderna. Rapporto sul sapere, tr. it., Feltrinelli, Milano 200214.
[5]Cfr. Samuel P. Huntington, Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale, tr. it., Garzanti, Milano 2001.
[6] Pino Lucà Trombetta, Il bricolage religioso, sincretismo e nuova religiosità, Edizioni Dedalo, Bari 2004, pp. 74-77.
[7] Abraham H. Maslow, Motivazione e Personalità, tr. it., Armando Editore, Roma 2010, pp. 83-118.